Notizie dall’Italia e dal mondo 22/01/10
Sommario delle notizie:
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AIDS: GF tedesco: esce per l’ingresso della coppia gay con hiv
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AIDS: E’ sieropositivo, infetta la moglie. A processo
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AIDS: Aids, gay e ipocrisia
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AIDS: Il dentista non può chiedere se il paziente ha l’Aids
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AIDS: Dopo la circoncisione, lui e lei pari piacere
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FEMIDOM: Profilattico femminile: ordine del giorno di Mantini (Lega)
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AIDS: Aids, la prevenzione inizi a scuola
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AIDS: ai dentisti non piace la privacy imposta dal Garante
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CARCERE: Il carcere è malato ma la riduzione del danno non entra
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AIDS: Il preservativo anti stupro si chiama Rape Axe e combatte Aids e violenza sulle donne
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AIDS: Aids più resistente alle cure: l’allarme dagli ospedali africani
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AIDS: “Il preservativo? No grazie”Le mille scuse dei giovani
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AIDS: GF tedesco: esce per l’ingresso della coppia gay con hiv
16 GEN 2010 – gay.it – Al reality tedesco un concorrente è uscito dal gioco a causa dell’ingresso in casa di una coppia di due uomini sieropositivi. «Non voglio trattare temi seri», ha detto prima di fare le valige.
«Non voglio avere nulla a che fare con persone che vivono con delle malattie». È stata questa l’incredibile motivazione con cui Horst, concorrente del Big Brother tedesco e tatuatore di professione, ha annunciato di voler uscire dal gioco. «Se i due avessero avuto il cancro – ha poi provato a giustificarsi il ragazzo – la mia reazione sarebbe stata la stessa».
I dubbi che questo sia il vero motivo della sua decisione di uscire dalla casa sono ovviamente molti. Appare più probabile, infatti, che la notizia dell’ingresso dei due sieropositivi abbia fatto nascere in lui la paura di un possibile contagio essendo “costretto” ad una vita così ravvicinata con i nuovi arrivati. Gli autori del reality avevano annunciato l’ingresso di una coppia affetta da HIV motivandola proprio con il voler dimostrare come si possa convivere senza problemi di salute con le persone sieropositive: dalla condivisione delle stoviglie a quella degli asciugamani. Ma Horst è stato inflessibile. Prima di fare le valige ha detto davanti alle telecamere: «Sono venuto in questa trasmissione per divertirmi – ha continuato – non per affrontare temi seri».
La reazione degli altri inquilini è stata molto più benevola nei confronti dei due nuovi coinquilini. Ma non sono escluse altre sorprese.
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E’ sieropositivo, infetta la moglie. A processo
14 GEN 2010 – Gazzetta di Mantova – Un fatto privato, intimo, ma emerso in un tribunale. Un gesto di una violenza così grande, e immotivata, da lasciare senza parole. Lui, tossicodipendente da anni e sieropositivo, lei giovanissima. Si sposano ma lui non le racconta di avere l’Hiv. E lei diventa sieropositiva.
Marito e moglie ora sono da tempo separati. Ma lui, dopo averla minacciata e picchiata per anni sotto l’effetto della droga fino a costringerla a ritornare sui propri passi dopo una prima richiesta di separazione, ha continuato anche la scorsa estate a inseguirla, irrompere a casa dei suoi genitori (dove la ragazza si è ritirata a vivere) tentare più volte di rapire la bambina che la coppia ha avuto. E ancora: minacce di morte, telefonate, sms, il furto dell’a uto della donna con il quale ha più volte violato il codice della strada colpendo l’ex compagna anche sul lato pecuniario, con una serie infinita di multe. Tanto che, dopo l’ultimo agguato teso col tentativo di rapire la figlia, il pubblico ministero ha chiesto che all’uomo venisse applicata la misura degli arresti domiciliari.
Lui, imprenditore quasi cinquantenne, è modenese mentre lei, poco più che trentenne, mantovana. Il processo per i maltrattamenti, che hanno causato più volte delle lesioni alla donna e costretto sia lei che i suoi genitori a cambiare vita, numeri di cellulare, è iniziato lo scorso novembre. Il giudice ha disposto il giudizio immediato per reati che vanno dalle lesioni personali ai maltrattamenti in famiglia, alle minacce, accompagnati da aggravanti. Ma, già nel corso della prima udienza, quella che sembrava una brutta vicenda di violenza si è ancora di più incupita. Chiamata a testimoniare dal pm, un medico del servizio pubblico dal quale l’uomo era in cura, ha raccontato al giudice di averlo più volte invitato, una volta conosciuta la ragazza e in procinto di sposarsi, di informare la futura moglie della sua malattia. Lo stesso medico, però, è stato deciso nel negare che lui l’abbia mai fatto, e ha poi raccontato che tempo dopo la stessa ragazza, sottoposta agli esami, è risultata aver contratto il virus.
Spetterà al giudice stabilire l’evoluzione del processo, che al momento non prevede l’imputazione per questa nuova vicenda emersa nel corso del dibattimento.
La ragazza mantovana, che si è costituita parte civile anche per conto della figlia, è difesa dall’avvocato Loredana Ganzerla, mentre i suoi genitori (anch’essi finiti più volte nel mirino delle minacce dell’uomo) da Sandro Signorini e Nicola Turzi.
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AIDS: Aids, gay e ipocrisia
16 GEN 2010 – sabatoseraonline.it – Corrispondenze con Graziano Paolicelli.
Sono testimone di una tragedia, oserei dire annunciata. Un altro mio amico, anche se non prossimo, alla sua giovane età è ora sieropositivo. Quando io avevo l’età del mio amico adesso, venivano attuate più campagne di informazione e prevenzione. Io penso che stia anche alla comunità omosessuale, all’Arcigay e altre organizzazioni simili, alzare la guardia, non aspettando le autorità, per cercare di arginare un fenomeno che dilaga sempre più spesso, e che sembra erroneamente superato. Sono inoltre arrabbiato per l’irresponsabilità di alcuni gay, che trovo in chat a praticare e cercare sesso bareback (Senza Preservativo, NdR), senza considerare le conseguenze gravissime di questo comportamento. Esprimo indignazione poi contro la diffusione, di film porno, di una casa di San Francisco ******** e altre assai famose, in cui viene praticato bareback e viene fatta un’adorazione del sesso di gruppo, in cui si vedono, anche giovani, impegnati a ricevere sperma da più uomini. Dovremmo prendere iniziativa, e sviluppare un progetto contro queste cose, ma come fare? Perché noi omosessuali non siamo i primi ad elevare la nostra voce?? (lettera firmata)
È impossibile non condividere tristezza e dispiacere per un tale evento. Certamente il governo, la gerarchia cattolica, le scuole e le famiglie si dividono responsabilità e silenzio per il non avvisare ed educare adeguatamente i propri figli verso un rispetto di se stessi, dell’altro e della vita. Perché non si permette alle scuole di organizzare corsi e formazione su tali argomenti? In risposta, senza sminuire l’importanza del problema, costituito da una terribile malattia come l’AIDS, invito a riflettere sul senso di colpa ad esso collegato. La invito quindi a smettere di considerare la sieropositività, come una malattia più deprecabile del fumo o altre patologie, solamente perché collegata all’atto sessuale, e a cessare di giudicarla ambiguamente come un fatto più grave, nel caso coinvolga persone di orientamento gay e passive nell’atto sessuale. Sappiamo che fumare, bere alcolici, e praticare sesso senza preservativo possono ugualmente essere causa di morte, ma affrontiamo i due elementi in maniera assai diversa. Il/la sieropositiva porta la colpa di avere contratto il virus dell’HIV, attraverso rapporti sessuali, fattore, giudicato molto più severamente, in base alle nostre tradizioni culturali, la nostra educazione ecc. Inoltre senza scendere nel merito, se un’opera d’arte o un film porno debbano rispondere a intenti e istanze didascaliche ed etico-morali, tengo a precisare che la maggior parte dei film porno eterosessuali, da Rocco Siffredi a film americani ecc., vengono girati senza l’uso del preservativo, e che il discorso da lei compiuto è solamente applicato a film porno gay. Perché? Forse il nostro figlio gay, che non usa il preservativo o ingurgita sperma, è più deprecabile e moralmente “sporco”, di una ragazza che rimane involontariamente incinta o di un dongiovanni che ama tante bellissime donne? Senza promuovere e difendere la pratica del sesso Bareback, ovvero del rapporto sessuale senza l’uso del preservativo, invito a riflettere sull’ipocrisia con cui questo tema è trattato anche nella stessa comunità omosessuale. Dopo avere visionato l’indirizzo internet, della casa di produzione porno, della quale non intendo citare il nome, confermo il leit motiv dell’esaltazione e apologia dell’eiaculazione vissuta senza protezione. Ma anche se non riusciamo a chiedere alle istituzioni coerenza e impegno in iniziative, mirate ad affrontare il problema, possiamo per primi cominciare a non giudicare ed emarginare chi è sieropositivo in ambito lavorativo e nella vita personale. Inoltre possiamo smettere di associare questa malattia a qualcosa di oscuro, di immondo perché correlato all’atto sessuale, come se esistessero “untori” e “buoni” dall’altra parte e abbracciare finalmente con razionalità la tematica. In conclusione, desidero citare le numerose coppie, conosciute anche personalmente, che contano entrambi o un partner sieropositivo, e superano con precauzioni costanti la possibilità del contagio. Anche in questo caso l’amore “sa” più della malattia e pregiudizi, e prevale con la sua forza e luce.
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AIDS: Il dentista non può chiedere se il paziente ha l’Aids
14 GEN 2010 – corriere.it – Non si parla d’altro su Odontoline, un Forum molto frequentato dagli odontoiatri. Tiene banco la recente ordinanza del Garante della privacy dove si «prescrive» a tutti i sanitari «di non raccogliere l’informazione circa l’eventuale stato di sieropositività del paziente». In pratica questo dato non può essere richiesto quando il paziente arriva in studio per la prima volta, ma solo in un secondo momento e solo se il fatto di sapere che ha l’Aids può determinare la scelta della terapia e di interventi clinici.
La decisione di Francesco Pizzetti riguarda in particolare i dentisti perché è negli studi odontoiatrici che si verificherebbero violazioni definite inaccettabili dalle associazioni nel modo di schedare i nuovi clienti con domande dirette, a volte da parte di segretarie e infermiere, oppure attraverso moduli di accettazione. In allarme la categoria: «L’ordinanza è una grande limitazione per la nostra professione — dice Michele Cerquetti, dentista romano —. La privacy in questo caso rischia di creare un danno allo stesso paziente perché la presenza dell’infezione può compromettere, ad esempio, il successo di un percorso terapeutico. E poi basta con queste regole, ne abbiamo già troppe». Dello stesso tenore molti degli interventi sulla community, aperta otto anni fa dal dottor Francesco Simoni per favorire uno scambio di opinioni fra colleghi. Sul piano della prevenzione, oltretutto, l’iniziativa dell’Autorità viene giudicata senza significato visto che ormai le precauzioni igieniche sono talmente sicure da rendere estremamente remoto il rischio di contagio di virus. L’ordinanza nasce dalla segnalazione di Matteo Schwarz, legale di Nps Italia, associazione di persone con l’Aids: «E’ molto frequente che negli studi vengano utilizzati questionari dove bisogna dichiarare se si è sieropositivi. Una procedura poco ortodossa, applicata anche al di fuori della sanità. Noi pretendiamo invece che l’informazione rientri nell’ambito di uno scambio confidenziale tra medico e paziente. Siamo indignati poi dalla passività degli Ordini professionali che non sono mai intervenuti per censurare comportamenti dei loro iscritti non in linea con la deontologia».
L’avvocato Matteo Schwarz si riferisce a storie di persone che hanno grosse difficoltà a farsi curare una carie perché sieropositive. Sono stati denunciati casi di vero e proprio rifiuto. Per questo motivo Francesco Pizzetti ha ritenuto necessario ribadire che la raccolta del dato sanitario sull’Aids debba avvenire «previo consenso informato dell’interessato da parte del medico curate nell’ambito di un processo di cura in relazione a specifici interventi clinici» e se è ritenuto necessario. Mario Falconi, presidente dell’Ordine dei medici di Roma e provincia afferma «il nostro diritto ad essere a conoscenza delle condizioni di salute del paziente, nel suo interesse. Quindi l’eccessivo garantismo può diventare un limite. Ciò non significa non tutelare la sua riservatezza per quanto riguarda le chiavi di accesso a schedari cartacei ed elettronici».
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AIDS: Dopo la circoncisione, lui e lei pari piacere
17 GEN 2010 – vitadidonna.org – Secondo uno studio condotto in Uganda, la stragrande maggioranza delle donne asserisce che l’attività sessuale è egualmente soddisfacente, se non di più, dopo la circoncisione dei partner. Questo dato potrebbe aiutare a contenere la diffusione dell’Hiv/Aids.
Secondo dati precedenti la circoncisione determina una riduzione dei tassi di infezione di Hiv dal 50 al 60%. Se si potesse avere da ora in avanti una proporzione significativa di uomini circoncisi, la prevalenza dell’Hiv scenderebbe nei prossimi 10 o 20 anni.
Sapere che la circoncisione non riduce il piacere sessuale femminile, potrebbe rendere meno riluttanti i genitori alla pratica. Negli Usa, vi è attualmente un movimento molto forte contro la circoncisione. Alcuni genitori credono che riduca la sensibilità del pene; in realtà solo pochi tra i circoncisi si dicono meno soddisfatti degli atti.
Lo studio attuale ha coinvolto 455 donne tra 15 e 49 anni d’età intervistate prima e dopo circoncisione dei mariti all’interno di un trial randomizzato della procedura come misura per prevenire la diffusione dell’Hiv. Solo 13 donne (2,9%) hanno riportato soddisfazione più bassa dopo circoncisione del marito. Delle rimanenti donne, 255 (39,8%) hanno riportato soddisfazione maggiore.
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FEMIDOM: Profilattico femminile: ordine del giorno di Mantini (Lega)
18 GEN 2010 – targatocn.it – Al consiglio provinciale di lunedì 18 gennaio approda la tematica ‘AIDS’ e la promozione del profilattico femminile, proposta del Consigliere Anna Mantini già presentata il 23 novembre 2009. Mantini: “L’AIDS problema apertissimo, purtroppo in Italia la comunicazione istituzionale è stata inefficace. In Italia il profilattico non è ancora accettato, le istituzioni devono parlare forte e chiaro. In Brasile addirittura è consegnato gratuitamente, in Italia è sconosciuto”. Patrizia Manassero (PD): “Veniamo ancora una volta incontro agli uomini e togliamo a loro una parte di responsabilità”. L’ordine del giorno viene emendato: “Impegna il consiglio provinciale ad un’azione di coordinamento con le asl del territorio per una campagna di prevenzione dall’aids e l’uso del profilattico”. Teresio Delfino (UDC) nel corso della discussione di un altro ordine del giorno ha tenuto a ribadire il suo secco ‘No’ all’iniziativa proposta dalla consigliera Mantini.
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AIDS: Aids, la prevenzione inizi a scuola
21 GEN 2010 – europaquotidiano.it – In tema di Aids ritengo che il primo obiettivo del governo sia (e lo è sempre stato dal 1981) quello di ridurre il numero di persone sieropositive nel nostro paese – 4mila in più ogni anno – in attesa che la scienza tagli il traguardo del tanto atteso vaccino (non solo quello terapeutico ma anche quello preventivo).
A dirsi sembrerebbe un’impresa titanica, ma non lo è nella pratica. Basterebbe infatti cominciare a parlare nelle scuole di corretta sessualità, con vere e proprie lezioni di informazione-formazione rivolte ai giovani, per intraprendere finalmente una seria lotta al contagio, perché ad oggi – nel nostro paese e non solo – il miglior alleato del virus Hiv è la disinformazione-ignoranza: secondo un’indagine effettuata dall’Organizzazione mondiale della sanità nel 2005/2006 in 64 paesi, soltanto il 38 per cento delle femmine e il 40 per cento dei maschi appartenenti alla fascia più a rischio (quella tra i 14 e i 25 anni) ha dimostrato di avere una conoscenza adeguata della malattia.
E non solo: i numeri, dietro ai quali però non dimentichiamo ci sono sempre persone, ci raccontano infatti anche di una fetta anziana della popolazione colpita da Hiv: ultrasessantenni che non conoscono l’infezione e che si contagiano – e spesso contagiano inconsapevolmente la moglie altrettanto anziana – attraverso rapporti promiscui non protetti.
Se astinenza e monogamia (praticata però da entrambi i partner, perché la vicenda della studentessa bocconiana contagiata dal fidanzato infedele dimostra che non basta guardare a se stessi) sembrano essere sempre più richiami inascoltati, dall’altra parte la sindrome dello struzzo, in tema di soluzioni preventive, non fa che alimentare quella da immunodeficienza acquisita: sono ancora troppi gli interrogativi e i vuoti che, più o meno, ognuno di noi si porta ancora dentro, a cominciare dalla differenza che c’è tra infezione da Hiv e Aids.
Il governo non fa niente per combattere non conoscenza (non è una malattia del Terzo mondo) e pregiudizi (i sieropositivi non hanno commesso alcun reato): è inadempiente all’impegno di sostenere il Fondo globale per la lotta all’Aids, ha prodotto una campagna informativa assolutamente inadeguata (si è visto solo uno spot a dicembre per 14 giorni in cui comunque non si fa alcun cenno all’uso del profilattico ma solo al test), non ha programmato nessuna azione di prevenzione, né nelle scuole né fuori.
Negli anni che sono passati e nelle legislature che si sono succedute una campagna chiara e rivolta a tutti non c’è mai stata. E ciò ha portato troppo spesso a credere che Hiv e Aids fossero un problema di altri.
Oggi, che la sieropositività è diventata una malattia cronica, perchè il paziente – grazie ai passi in avanti della terapia retrovirale scoperta dopo il 1996 – si può curare, più che mai c’è bisogno di informazione e nessuna ipocrisia.
Perciò se fossi il ministro della salute comincerei con l’incontrare subito il mio collega della pubblica istruzione per concordare e rilanciare una seria campagna di informazione, requisito di base per la prevenzione.
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AIDS: ai dentisti non piace la privacy imposta dal Garante
14 GEN 2010 – agenziaradicale.com – Sul sito istituzionale del Garante per la privacy, tramite un provvedimento generale, sono stati indicati i princìpi ai quali devono attenersi i medici nella raccolta dei dati personali. Con tale provvedimento si stabilisce che tutti coloro che esercitano una professione medica al primo incontro col paziente non devono chiedere informazioni riguardo una loro eventuale sieropositività se ciò non è indispensabile per il tipo di intervento o terapia, e comunque il paziente può rifiutarsi di rispondere.
Inizialmente, infatti, per assicurare una corretta assistenza medica, sono sufficienti le informazioni sanitarie di base. Solo in un secondo momento si possono approfondire i dati del paziente e, nel caso il medico dovesse riscontrare il virus dell’HIV, oltre a rispettare gli obblighi specifici di segretezza e a non discriminare il paziente, è tenuto ad adottare ogni misura del codice della privacy per garantire la sicurezza dei dati.
Francesco Pizzetti, presidente dell’Autorità Garante per la privacy, ha fatto recapitare a tutti gli studi medici le indicazioni del provvedimento, con un richiamo particolare per i dentisti. Infatti è proprio dopo aver affrontato il caso di uno studio dentistico in cui al momento dell’accettazione veniva presentato un questionario ai pazienti in cui erano presenti domande esplicite sull’Aids, che Pizzetti ha deciso di intervenire per fermare questa raccolta di dati generalizzata e molto delicata.
A riguardo Pizzetti ha dichiarato che “l’esigenza di raccogliere informazioni sull’HIV fin dal momento dell’accettazione non è giustificabile neanche dalla necessità di attivare specifiche misure di protezione per il contagio, poiché la normativa di settore prevede che tali misure siano adottate, nei confronti di ogni paziente, a prescindere dalla conoscenza dello stato di sieropositività”. Non sono mancate le lamentele da parte della categoria in camice bianco su ‘Odontoline’, il sito più frequentato dagli odontoiatri.
Nel dibattito virtuale un dentista romano sottolinea che omettere un dato così significativo potrebbe mettere a rischio la stessa salute del paziente in quanto la presenza di un possibile virus potrebbe ostacolare la riuscita di un percorso terapeutico. Altri dentisti invece trovano inutile l’iniziativa di Pizzetti dal momento che le precauzioni igieniche adottate negli studi medici sono talmente sicure che risulta quasi impossibile il contagio del virus.
A spezzare una lancia a favore del Garante è l’avvocato di Nps (Network persone sieropositive) Matteo Schwarz, il quale difende quest’iniziativa poiché nel corso degli anni ha raccolto molte denunce da parte di persone sieropositive alle quali sono state rifiutate le cure da parte dei dentisti solo perché infette. -
CARCERE: il carcere è malato, ma la riduzione del danno non entra
19 GEN 2010 – imgpress.it – Oltre il 50% di persone incarcerate per motivi legati alla droga, almeno un detenuto su 4 tossicodipendente, una presenza di Hiv/Aids intorno al 5% mentre un terzo della popolazione carceraria non si sottopone al test, e il 60% dei detenuti con un’epatite, il tutto aggravato dal sovraffollamento, questa la fotografia dello stato della salute nelle carceri italiane. Una situazione che secondo la Lila richiederebbe, oltre a una migliore e più diffusa applicazione di misure alternative alla pena detentiva, il ripensamento degli interventi di riduzione del danno.Diversa la posizione del ministro Fazio, che in occasione della Giornata mondiale contro l’Aids, lo scorso 1° dicembre, al periodico di informazione Anlaids Notizie ha dichiarato che gli interventi di riduzione del danno in ambito carcerario, quali la disponibilità di siringhe sterili o di strumenti per la loro sterilizzazione, «presentano diverse controindicazioni, e in molti casi non esistono evidenze di efficacia degli interventi stessi nel ridurre la trasmissione dell’infezione da Hiv». Mentre la disponibilità di preservativi per i detenuti «può apparire come una legittimazione dell’omosessualità coatta».Il ministro Fazio pare dimenticare che fin dagli anni Novanta da organismi quali la World Health Organization, le Nazioni Unite, il Consiglio d’Europa, arrivano ben altre indicazioni. E che nella letteratura scientifica le evidenze di efficacia di tali interventi nel ridurre la diffusione di Hiv e altre patologie sono ormai ben documentate.«Signor Ministro, il sesso in carcere è praticato, e non attende certo la nostra “legittimazione”, ma non può essere “safe”. Così come esiste, per quanto altrettanto proibito, il consumo di stupefacenti, ma non con aghi sterili. È una realtà che non si può negare, sulla quale voglio richiamare la Sua attenzione, dal momento che oggi, a differenza del passato, anche la salute nelle carceri compete al Suo Ministero», scrive la presidente Lila Alessandra Cerioli, in una lettera pubblicata oggi da Anlaids Notizie. Citando il recente documento della Commissione Europea “La lotta contro l’Hiv/Aids nell’Unione europea e nei paesi vicini 2009/2013”, dove si legge: “L’accesso ad aghi sterili, il trattamento della tossicomania sulla base di dati scientifici, tra cui la sostituzione e le altre misure di riduzione dei danni, sono risultati strumenti molto efficaci, anche nelle zone a prevalenza elevata e in ambienti particolari come le carceri”.La Lila chiede al ministro Fazio di rivedere le proprie affermazioni sulla riduzione del danno in ambito carcerario alla luce della documentazione proposta. Assieme a quelle, sempre negative, espresse nei confronti di uno strumento che, contrariamente al Governo italiano, istituzioni ed esperti internazionali giudicano positivamente: il profilattico femminile.«Non esiste alcuna evidenza che la commercializzazione del condom femminile, la cui accettabilità fra le donne risulta essere piuttosto bassa, possa favorire la riduzione della diffusione dell’Hiv», ha affermato il ministro, ancora nell’intervista ad Anlaids. Ma Lila, che da molto tempo, e in buona compagnia (Oms e Unaids), spinge per la diffusione di questo strumento di prevenzione, rifiuta di vedere vanificati i suoi e altrui sforzi in nome di una convinzione basata non si sa su cosa, dato che, sottolinea la presidente Cerioli, «la sua efficacia nel prevenire le infezioni sessualmente trasmesse, Hiv compreso, è provata in molti studi clinici, e il fatto che il sia a oggi l’unico strumento di prevenzione che può essere utilizzato in prima persona dalla donna, lo rende importantissimo. Data la maggiore possibilità che hanno le donne di infettarsi. E data anche la difficoltà delle donne, più volte emersa, a contrattare il sesso sicuro».
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Il preservativo anti stupro si chiama Rape Axe e combatte Aids e violenza sulle donne
19 GEN 2010 – mgazine.ciaopeople.com – L’Africa è il continente col più alto numero di malati di Aids. Le infezioni dovute al virus Hiv sono tutte legate al sesso praticato senza precauzioni, e alla violenza sulle donne.
Dunque non poteva che provenire da una donna africana l’ultima idea in fatto di sesso sicuro: Rape Axe è un innovativo preservativo, che servirà a prevenire la violenza sulle donne. La sperimentazione è durata due anni, e finalmente ora il nuovo preservativo rivoluzionario è diventato realtà.
Sonnette Ehlers, ideatrice del preservativo anti stupro, ne ha spiegato l’utilizzo: la “solita” membrana di plastica, tipica del profilattico, nasconde all’interno un trucchetto poco piacevole per gli uomini: aculei e protuberanze appuntite che non provocano di certo alcun piacere a chi lo indossa.
Il preservativo anti stupro si inserisce all’interno della vagina e si atttacca al pene in maniera forte, tanto che può essere tolto solo attraverso un intervento di chirurgia. Così facendo l’aggressore, autore della tentata violenza sessuale, sarebbe facilmente riconoscibile senza il ricorso al test del Dna o a iter burocratici lunghi e complessi.
Per alcuni però il preservativo non sarebbe utile ai fini della prevenzione di malattie sessuali, ma il suo scopo è un altro: fermare chi costringe una donna ad avere rapporti sessuali contro la psua volontà. Questa “soluzione” potrebbe esporre a grossi rischi la donna che, al momento del fatto, potrebbe subire tentativi di vendetta da parte dell’aggressore.
Il Rape Axe sarà prodotto in Cina e, come afferma Sonnette Ehlers, sarà utilissimo anche nel campo della prevenzione all’Aids dal momento che la sua funzione di preservativo non è intaccata dagli aculei presenti all’interno. -
AIDS: Aids più resistente alle cure: l’allarme dagli ospedali africani
17 GEN 2010 – ilmessaggero.it – In Africa si stanno diffondendo in misura sempre maggiore particolari ceppi del virus HIV resistenti ai normali farmaci. A lanciare l’allarme, con uno studio pubblicato sul Canadian Medical association Journal, gli ospedali di vari paesi africani tra cui Malawi e Uganda, dove da anni si fa uso di farmaci antiretrovirali. Ceppi di virus resistenti alle cure emergono, come hanno affermato gli operatori del settore, perché i pazienti non rispettano pienamente le prescrizioni. Interrompere anche solo per breve tempo le terapie riduce infatti la quantità di antiretrovirali nel sangue e consente ai virus più forti di rigenerarsi e di diventare totalmente resistenti ai farmaci. E le mutazioni sono tanto più preoccupanti in quanto possono avvenire in breve tempo.
Come afferma la ricercatrice canadese Adrienen Chan, che opera in Malawi, si tratta in molti casi di «un problema che procede in modo silenzioso e quasi inavvertibile, poiché non c’è modo di effettuare misurazioni e analisi specifiche a causa della ovvia mancanza delle condizioni di base. Ma ciò non toglie – ha avvertito l’esperta – che sia un problema estremamente preoccupante».
Anche Medicins sans frontieres (Msf) ha denunciato la questione. La colpa, affermano medici e associazioni, va attribuita in primo luogo alla mancanza di fondi, che con la crisi mondiale è divenuta ancora più evidente. In questo modo, «si rischia di fare un passo indietro di almeno dieci anni nella lotta in Africa contro l’Aids», ha sottolineato Sharonann Lynch di Msf. Nel suo ultimo rapporto, Msf ha denunciato una riduzione del 35% dei fondi che i paesi sviluppati riservavano alla lotta in Africa contro Aids e altre gravi malattie come tubercolosi e malaria.
I programmi varati dal presidente Barack Obama contemplano un nuovo impegno di Washington in questo campo. Ma i molti danni che sono già stati prodotti, avvertono le associazioni, rischiano di essere irreversibili. -
AIDS:”Il preservativo? No grazie”Le mille scuse dei giovani
20 GEN 2010 – bologna.repubblica.it – Non lo usa nessuno. O quasi. Perché non è poetico, perché si fidano del partner, perché «giusto se mi capita di andare con una sconosciuta». O addirittura perché «adesso prendo la pillola e non mi serve». Il preservativo, parlando con i laureati e laureandi di Bologna nelle varie facoltà, non è affatto uno sconosciuto. È solo ignorato.
Basta girare, basta chiedere, per accorgersene. E ascoltare le risposte. Come quella di Mario, 25 anni, studente di medicina, che dice di usarlo solo se lei è una «perfetta sconosciuta», magari incontrata in discoteca. E mai negli altri casi, specie se «l´estrazione sociale» della ragazza gli permette di «fidarsi». Luca, che di anni ne ha 27 anni ed è già laureato in Scienze della comunicazione, è meno prosaico, ma arriva alla stessa conclusione: lui il preservativo non lo usa perché «toglie la poesia del rapporto». E ancora Marco, 24 anni, laureando in legge, che non lo vede affatto indispensabile, a meno che non sia lei a pretenderlo. O Laura, 26 anni, studentessa di Economia, che pensa sia importante – quello sì – ma poi serenamente ammette di farne a meno perché «si lascia trasportare dalla confidenza che vuole creare col partner». Mentre Chiara, 24 anni, tirocinante di farmacia, dice che può permettersi di non usarlo perché prende la pillola (!). Una tra le pochissime voci discordi, a forza di chiedere, finalmente la si trova: è quella di Giacomo, 25 anni, tirocinante di Medicina, che lo usa anche con la sua ragazza e si sottopone al test per le malattie ogni anno. Evviva.
La (scarsa) consapevolezza dei rischi sanitari che può comportare un rapporto non protetto, nell´età in cui i rapporti non protetti sono statisticamente più frequenti, è pressoché identica se, anziché all´università, si va a chiedere negli istituti superiori. Tra imbarazzi e sghignazzi, parlandone coi liceali si ha se non altro la sensazione che il problema sia presente. Ecco perché all´uscita dei Salesiani, Federico e Silvia, 17 anni, fidanzati, arrossiscono dicendo che tra ragazzi non si parla di queste cose, ma definiscono il profilattico utile a prevenire «situazioni spiacevoli» come le gravidanze. Ed ecco perché al Rubbiani Francesco e Simone, 18 anni, rispondono che «è meglio usarlo ma non obbligatorio». Se non altro Caterina e Sara, 17 anni, raccontano di arrabbiarsi se un´amica dice di non averlo usato, ma pure loro si preoccupano più delle gravidanze. E i ragazzi del Sabin? Ci accerchiano, fragili e spavaldi, e dicono la loro: Davide, 18 anni, tira fuori un preservativo dal portafoglio per mostrarci che ne ha sempre uno, mentre Marco sostiene di non usarlo mai, perché «è sicuro di sé» e «se la persona con cui vado ha una malattia la prendo anch´io, pazienza».
Al Righi, Alessandra e Valentina, 17enni, invece rispondono con distacco, come se non stessero parlando di sé. Dicono che le malattie «sono una possibilità remota» e bisogna tutelarsi per il «pericolo gravidanze», ma certe loro amiche non si preoccupano nemmeno di restare incinte. E Davide, del Galvani, definisce il profilattico «un elemento scontato del rapporto», ma anche lui teme l´idea di una fidanzata incinta, perché, incalzano Marco e Claudia della IV, «un figlio al liceo ti rovina la vita». Christian, 17 anni del Minghetti, preferisce scherzare: «Io il preservativo me lo metto in testa e canto Tiziano Ferro sotto la doccia». Per fortuna Catia e Federico, 19 anni, lo interrompono dicendo che «il preservativo serve anzitutto a prevenire le malattie e poi le gravidanze». Uno urla «Le malattie le hanno solo i negri» (si sa che la mamma dei cretini è sempre rimasta incinta) e un altro: «La gravidanza è la più grave malattia che puoi prendere» (cfr. parentesi precedente). Pure al Fermi, infine, è la solita musica: quasi tutti valutano la gravidanza l´unico pericolo e le malattie «estranee al loro mondo». Fine del viaggio. Non certo del problema.